Comunicazione dell’autore (Michele Barresi) da un lavoro in corso di stampa per i tipi della Tipheret, soggetta alle leggi del Copyright.
Alberi, Conoscenza ed Equilibrio…
LA FIAMMA DELLA CONOSCENZA
«Coloro che hanno portato “Luce” all'umanità, hanno sempre pagato a caro prezzo il loro idealismo.
Il simbolo di questi eroi è Promèteo.»
Nel mito di Prometeo ritroviamo in tutta la sua valenza simbolica l’idea della fiamma della conoscenza, fonte di vita, in quanto illumina e riscalda l’Uomo. Ritenuta prerogativa Divina, gli antichi greci ci insegnano che la Conoscenza poteva essere conquistata solo “dando assalto al cielo”.
Osa e taci, è uno dei motti degli ermetisti.
È chiaro che per Conoscenza non intendiamo riferirci alla capacità di ricordare le nozioni apprese, ma la facoltà di comprendere ciò che è velato nel tratto, nel simbolo, nel suono, nel colore, nella parola.
Comprendere un significato anche se l'apparenza può ingannare la ragione è una caratteristica di intuito particolarmente sviluppato. Che è, poi, l'anticamera del libero pensiero e, quindi, del libero arbitrio.
Ecco, perché nel corso della storia umana la Conoscenza è stata considerata una dote pericolosa; perché non può essere blandita, né addomesticata, e perciò non piace a chi si rafforza con la sottomissione altrui.
L'ALBERO DELLA CONOSCENZA
L'Albero è un simbolo antico, patrimonio comune di tutti i popoli e di tutte le epoche.
In occidente, in tutte le tradizioni esoteriche e religiose, è usato per rappresentare concetti mistici, ermetici ed alchemici; senza dimenticare gli alberi araldici e genealogici.
Per un sentire cosciente, il significato dell'albero cambia a secondo di dove ha le radici. Che, in termini allegorici, significa se trae la propria linfa dall'alto o dal basso.
Sappiamo di un tempo in cui c'erano i “giganti” (Genesi: 6,4; Numeri: 13,33); uomini per cui la cono-scienza e la cono-scienza spirituale avevano una stessa radice e generavano un unico frutto. Poi i “giganti” sparirono, perchè le facoltà della mente ed il sentire del cuore si erano scissi, trasformando quell'unico frutto in frutti della conoscenza materiale.
L'Albero della Conoscenza ha le radici in basso, piantate nella terra, a significare che il percorso che porta allo sviluppo della Conoscenza è un percorso di “ascesi”, che dal “basso” deve necessariamente dirigersi verso l’“alto”.
È il percorso dell’Uomo, il quale, nel corso della sua vita terrena, essendo parte del creato, non può prescindere da questa sua condizione terrena, e deve fondarsi su quanto lo circonda, ossia “le radici dell’albero”, per risalirne il tronco fino alle fronde più in alto, che si ramificano nei diversi aspetti dell'apprendere, dove poter cogliere, finalmente, il “frutto della Conoscenza”.
Elencare i benefici della conoscenza ci sembra un esercizio superfluo, visto che ci accompagna dalla nascita fino all'ultimo momento di vita e che dalla qualità della nostra conoscenza dipende la qualità di noi stessi e di tutto ciò che facciamo. Né ci sembra questa la sede più adatta per discutere dei catastrofici effetti del suo abuso. Piuttosto, potrebbe interessare constatare gli effetti della sua mancanza, soprattutto se il pensiero è quello di Socrate.
SOCRATE E IL PROBLEMA ETICO DELLA NON CONOSCENZA
È di Socrate la formula: ignorando si sbaglia e all'errore consegue il dolore. E tale frase ci porta al problema etico della non-conoscenza.
«… il vedere tra ombre e nebbie, non è il vero vedere che guarda nella luce della scienza. Se tu vedessi chiaramente in quella luce quali sarebbero le conseguenze delle tue azioni, se tu ne avessi scienza, non peccheresti mai». Affermava Socrate. Per ignoranza si fa del male e per ignoranza ci si fa del male, « in assenza di “epistemè” (scienza nel senso di virtù che deriva dalla verità) l'uomo finisce per ignorare il legame che unisce il desiderio di ottenere piacere subito, al dolore che ne potrà conseguire».
Quindi per Socrate l'uomo pecca perché non conosce e non conosce perché non ha capacità di giudizio.
Senza sviluppare conoscenza e capacità di giudizio, è inverosimile guadagnare il Libero Arbitrio e l’uomo, quindi, seppur inconsapevolmente, resta schiavo della sua ignoranza.
Conoscere con la testa e capire col cuore dà la capacità di distinguere il permanente dall'effimero: discriminando il bene dal male, il giusto dall'ingiusto, il necessario dal superfluo.
Diceva O.Wilde, in una delle sue famose massime: «l’esperienza è il nome che l’uomo da ai propri errori».
È pur vero che attraversando le fasi di crescita, sbagliare fa parte dell'apprendere. Solo in questi casi l'errore è sintomo accettabile. Purché non si ripeta e purché non si abusi di questo alibi, consapevoli che il nostro scopo è raggiungere “quel punto dal quale non si può errare”.
L’ALBERO DELLA VITA
«E JHWH disse: Guardiamo che egli non stenda la mano e prenda anche del frutto dell'Albero della Vita, ne mangi e viva per sempre». (Genesi: 3,22)
La Conoscenza è un frutto della terra che può portare in cielo. Questo insegna l'altro albero della Tradizione esoterica e religiosa: l'Albero della Vita, che, al contrario dell’Albero della Conoscenza, ha le radici rivolte al cielo.
Si tratta dell’Albero per mezzo del quale Dio dona la vita, fornendo agli uomini una scintilla della Sua stessa essenza (lo Spirito). Ecco perché è un albero le cui radici sono in Dio, fonte di vita, ed i suoi frutti sono gli uomini, o per meglio dire i loro spiriti individuali.
Ma di fronte all’Albero della Vita, la Conoscenza prende un percorso diverso dalla ragione materiale, che va anzi eclissata, per cercare, negli strati più profondi della propria coscienza, quell’elemento che sovrasta la materialità dell'uomo, facendo di lui un essere «ad immagine e somiglianza» di Dio.
In altre parole, bisogna “ragionare” (passatemi il termine) da Iniziati. Abbandonare la pura razionalità, per lasciarsi condurre dalle facoltà intuitive proprie del “Matto”, come ci indica il relativo arcano maggiore dei Tarocchi.
LE TRE COLONNE E L’ALBERO CABALISTICO
La Cabala, riunisce nel medesimo concetto, entrambi gli archetipi dei due “Alberi”. L’Albero Sephirotico, infatti, è al contempo “Albero della Conoscenza” ed “Albero della Vita”.
E allora, se proprio dobbiamo argomentare da “Matti”, cerchiamo di vedere cosa può insegnarci la Cabala su quanto abbiamo sin qui detto, cercando di trovare qualche parallelismo con il simbolismo massonico, in modo da comprenderlo meglio.
Sappiamo che le geometrie del Tempio massonico rappresentano il pianeta ed i suoi orizzonti: largo-lungo, alto e basso. Dal suo centro invisibile si dipartono le 4 direzioni del mondo. Quel punto ideale ed invisibile “noto solo ai Figli della vedova” è l’epicentro metafisico del mondo. Un termine simbolico che sta ad indicare la fisicità dell’iniziato in spirito nato dalla Mater Materia.
Da questo epicentro ideale parte l’orizzonte fisico del mondo, che da Est va ad Ovest e da Nord raggiunge il Sud del pianeta. Ed anche l’orizzonte verticale, la linea ideale che “lega cielo e terra”, dallo Zenit congiungendosi al Nadir. Si tratta dei due stadi del percorso iniziatico: il percorso “orizzontale”, proprio dell’Apprendista; ed il percorso “verticale”, proprio del Maestro, ma anche del Compagno, essendo egli “passato” dall’orizzontale al verticale.
Ai lati della Porta del Tempio massonico sono visibili due Colonne. Quella di destra, contrassegnata dalla lettera J, rappresenta il principio solare-mascolino del creato, mentre, quella di sinistra, contrassegnata dalla lettera B, ne rappresenta il principio lunare-femminino. Solo per completezza, ricordiamo che i termini di ”mascolino” e “femminino” non hanno nulla a che fare con gli attributi sessuali, perché si riferiscono alle polarità energetiche che “vivificano” ogni aspetto della dimensione fisica, anche quella dell’uomo.
Chi di voi ha letto il lavoro su “Giano ed il tempo di Dio”, si ricorderà che in esso si parlava di una terza faccia, oltre alle due visibili, di Giano, invisibile perché riferentesi a ciò che è Divino (in quel caso, simboleggiante “l’eterno presente” di Dio).
Anche tra le due Colonne B e J possiamo considerarne esistente una terza, che scorre tra di esse, ma che è invisibile perchè priva d'aspetto fisico, in quanto spirituale.
In questo senso, la rappresentazione simbolica del Tempio Massonico tende a riprodurre quella dell’Albero Sephirotico, o Albero della Vita cabalistico, composto anch’esso di “tre colonne”.
Abbiamo detto che le Colonne B e J scorrono sul Pavimento del quadrilungo, che simboleggia il piano della ragione concreta, il cui tracciato, rappresenta il cammino iniziatico del Libero muratore .
Boaz, è la Colonna degli Apprendisti, gli iniziati che (appunto) “iniziano” a conoscere i propri strumenti mentali. Jachin, è la Colonna dei Compagni, gli iniziati che, avendo sviluppato l’uso degli strumenti, si dedicano ad elevare le proprie attitudini.
In questo senso, le due Colonne rappresentano il limite di scorrimento che il massone dovrà superare prima di raggiungere l’apice della maestranza. Come le mitiche colonne d’Ercole, delimitano il confine tra il mondo conoscibile ed il centro della coscienza che risponde al progetto dell’anima.
Una volta compresi i disegni della Grande Opera, l’iniziato potrà dire: “Entrando lasciai me stesso, e infine non trovai null’altro che me stesso!”
L’Albero Sephirotico, volendolo definire in poche parole, illustra il disegno della discesa e della risalita nella materia dello spirito di Dio, creatore dell’universo. È una mappatura della Creazione, del Tutto che ci circonda, ma anche del grande ritorno verso il Nulla in cui l’umanità ha avuto origine, e che in piccola parte già contiene in sé stessa.
Ecco perché l’Albero Sephirotico può essere letto sia in forma discendente che in forma ascendente (anche qui: radici in alto, radici in basso…).
I Cabalisti rappresentarono nella colonna centrale il percorso spirituale, che dalla sephirah Kether (il mondo divino) scende fino a Malkut (il mondo della materia), da dove l’uomo può risalire attraverso il proprio Spirito individuale. Questo percorso è conosciuto come la Via di mezzo. E per gli introdotti ai “misteri” è la via dell’Iniziazione.
LA VIA DI MEZZO
Abbiamo detto, che le Tre Colonne dell’Albero della Vita sono le “colonne portanti” d’ogni struttura vivente, inclusa quella dell’uomo. Abbiamo anche detto che la Colonna posta al centro dell’Albero Sephirotico è la cosiddetta Via di mezzo, in cui scorre il principio spirituale.
Da questo se ne deve dedurre che chi, come l’iniziato, percorre la «Via di mezzo», segue lo scorrere del principio spirituale, e cioè, percorre l’asse verticale tra le due energie fisiche mascolino e femminino.
Questo significa che bisogna muoversi tra i due aspetti attivo e passivo delle due colonne laterali stesse, cioè, quello che simbolicamente viene detto “camminare tra il bianco e il nero”.
Ma qual è il significato pratico di questo insegnamento?
La risposta a questa domanda viene dal Caduceo ermetico che raffigura le 3 correnti di energia che scorrono lungo la spina dorsale.
Nell’uomo, le due colonne del tempio sono il lato destro del suo corpo, o mascolino, ed il sinistro, o femminino. Le due energie devono essere dominate, equilibrandone le spinte che da conflittuali devono essere rese complementari. Questo sarà possibile sviluppando i centri mediatori della “Via di mezzo”.
In altre parole trovando il giusto “Equilibrio”.
TIPHÉRET E L’EQUILIBRIO
L’immagine qui a lato mostra una delle innumerevoli rappresentazioni dell’Albero delle Sephirot o Albero della Vita.
Si riconoscono immediatamente le tre “colonne”, ed in particolare al centro si trova la colonna dell'Equilibrio che da Keter, attraverso Tiphéret e Yesod, raggiunge Malkút. A sinistra e destra di Keter si dipartono altre due colonne: quella della Grazia, attraverso Hokmah, Chesed e Netzah; quella della Severità risalendo attraverso Hod, Gevuráh e Binah.
I Quattro cerchi intersecanti, invece, rappresentano quelli che, dall’inizio del XIV secolo, furono considerati, secondo il simbolismo cabalistico, i quattro mondi del creato. Essi sono, partendo dall’alto:
lo Atzilút, emanazione (il più alto e nobile, bene assoluto);
la Beriáh, creazione (il secondo, il comparire di qualcosa dal nulla, la creazione ex-nihilo);
la Yetziráh, formazione (il terzo, il mondo degli archetipi, dei simboli, degli angeli, dove male e bene sono presenti insieme);
la Asiyáh, realizzazione (l'ultimo e più basso, dove ciò che conta è l'agire, i risultati, la materia, dove il male tende a prevalere).
Al primo mondo (emanazione) appartengono Keter, Hokmah e Binah.
Da Keter origina Hokmah, femminile rispetto a Keter, maschile nei confronti di Binah che lo segue.
Dall’unione di Hokmah e di Binah originano le successive sephiroth.
In tal modo al secondo mondo (creazione) si associano alle prime tre sephiroth le tre successive: Chesed, Gheburah e Tiphéret: misericordia, giustizia ed equilibrio o bellezza.
Gheburah è la giustizia, ed è detta anche “paura”, paura del giudizio, in quanto questa sephirah ha il controllo del “male”, ma viene mitigata da Hesed, misericordia in quanto non vi può essere giustizia senza misericordia.
Da queste deriva l’equilibrio: Tiphéret.
Questa seconda triade rappresenta la parte più spirituale del terzo mondo (formazione) che è completato dalla terza triade Netzac, Hod, Yesod, il mondo degli archetipi, degli angeli, dei simboli, nel quale male e bene sono presenti.
Il quarto mondo, infine, è dato dall’unione di Tiphéret, Netzac e Hod con Malkut, la materia. È il mondo in cui il male prevale e dal quale bisogna iniziare la risalita attraverso Yesod e Tiphéret per arrivare alla comprensione della prima triade attraverso la “Conoscenza”, Da’at che non è una sephirah reale, ma che possiamo considerare come una sephirah “virtuale” che Dio consente all’uomo di sviluppare con i suoi mezzi.
A questo punto facciamo una considerazione da “Matti” (nell’accezione sopra intesa).
Osservate la sephirah Tiphéret nel diagramma cabalistico che rappresenta la visione grafica dell’Albero della Vita diviso in “quattro mondi”.
Tiphéret è la sephirah che è presente nel secondo, nel terzo e nel quarto mondo; in altre parole è l’unica sephirah presente in tutti i mondi, tranne che nel primo, quello della “emanazione” che discende da Dio e Dio rappresenta.
Tiphéret, quindi, è la sephirah posta al centro di tutta l’architettura cabalistica.
È la sephirah sulla quale convergono e dalla quale si dipartono il maggior numero di sentieri.
È la sephirah che bisogna necessariamente attraversare se si vuole arrivare alla “Conoscenza” (Da’at).
È l’unica delle sephiroth (al di fuori di quelle della prima triade) che attraverso la “Conoscenza” ha un sentiero diretto con Keter.
Ebbene l’attributo di questa sephirah è “Equilibrio” o “Bellezza”.
In quanto ad “equilibrio” mi pare chiaro il messaggio: nessuno arriverà a percorrere la Via di Mezzo, la “Via Regale”, che ha in sé la capacità di unificare gli opposti, senza possedere il necessario equilibrio.
Non per nulla Tiphéret è la Sephirah associata al Sole, che tutto illumina e con la sua energia consente alla Natura di esistere.
Abbiamo detto che a Tiphéret spetta anche l’attributo di “Bellezza”.
Su questo un solo timido accenno: nella Cabala si ritrova il “mondo delle Idee” di Platone, come non pensare che in una emanazione di Dio non sia presente il Bello assoluto: l’idea (platonica) del Bello?
Nello stesso modo troveremo nell’Albero cabalistico le altre Idee assolute, come la Giustizia, la Misericordia, la Saggezza e via dicendo.
TIPHÉRET: IL CENTRO
Questa considerazione su Tiphéret posta al Centro dell’Albero della vita, stimola ulteriori speculazioni che consentono di effettuare un bel riscontro ed un preciso parallelismo con il simbolismo massonico.
Abbiamo detto che Tiphéret è il punto mediano, l’equilibrio dei mondi della creazione; Massonicamente potremmo definirlo il sottile bordo, invisibile, ma pur sempre esistente, che separa gli scacchi bianchi da quelli neri.
Ma perché non anche Tiphéret il “trampolino di lancio” del vero iniziato, verso quella finestra (anzi, più un buco della serratura) che s’affaccia sul mondo superiore costituito da Da’at?
Spieghiamoci meglio.
Seguendo quanto detto prima, avendo definito Tiphéret quale “punto” di “equilibrio” di tutto l’Albero della Vita cabalistico, il nostro pensiero corre alla frase del Rituale che ci parla del “punto dal quale un M.M. non può errare”…
In questo senso, il Maestro sarebbe colui il quale, nel suo percorso di ascesi spirituale lungo la “Via di Mezzo”, giunge in questo punto mediano (il Centro=Tiphéret).
In questo punto, egli partecipa di (quasi) tutti i mondi della creazione(*), e quindi partecipa del male, quanto del bene; della luce, quanto del buio; delle virtù quanto dei vizi, ma avendo trovato il punto di equilibrio (Tiphéret, appunto), l’Iniziato non può errare: esercita pienamente e consapevolmente il suo libero arbitrio.
Preferirei scrivere mondi “del creato”, in quanto il termine “creazione” è limitativo significando solo uno dei quattro mondi. (m.b.)
Più su, parlando dell’Albero della Conoscenza in generale, abbiamo affermato che «il conoscere con la testa e capire col cuore dà la capacità di distinguere il permanente dall'effimero: discriminando il bene dal male, il giusto dall'ingiusto, il necessario dal superfluo». Possiamo adesso capire che solo questo ci consente di poterci realmente definire liberi e non schiavi della nostra ignoranza e delle nostre passioni (i metalli), e quindi ci autorizza ad esercitare, da Iniziati, il libero arbitrio che Dio ci ha concesso.**
**Questo è un bellissimo concetto del quale abbiamo gia parlato.
Il libero arbitrio non esiste per il bruto, per l’uomo che non possiede una spiritualità, egli non sa discernere tra il bene ed il male, egli agisce, o forse sarebbe meglio dire reagisce d’istinto agli stimolo che vengono dal mondo senza rendersi conto di quali potranno essere le conseguenze del suo agire.
Solo la “Conoscenza” degli opposti da all’uomo la possibilità di scelta sia in senso positivo che in senso negativo. Dio non lo consiglia.
Così non è per l’iniziato che ha si la libertà di scegliere, ma ogni sua decisione, ogni sua scelta sarà positiva o negativa a seconda l’ascesa del suo spirito, avvicinandosi sempre più al volere di Dio, che pur non intervenendo lo illumina. (m.b.)
Riteniamo che quanto detto possa essere considerata una possibile, ed al contempo gradevole, spiegazione dell’ermetica frase: “un punto dal quale un M.M. non può errare”. Ma siccome siamo degli Iniziati, e perciò “Matti”, non avendo paura del “di più, cerchiamo di andare ancora più in là...
Abbiamo detto prima che solo passando da Tiphéret si può giungere alla “sephirah/non-sephirah” chiamata Da’at, ossia alla Conoscenza unificante, che consente di pervenire alla comprensione (quantomeno parziale) del mondo superiore, il mondo dove risiedono le prime tre emanazioni di Dio, e che Egli rappresentano.
Ma allora forse Tiphéret , pur potendo considerarsi il centro descritto dal rituale di terzo grado, dove gli Iniziati (Maestri) possono (o dovrebbero) giungere per non errare… non è la vera fine del percorso.
In questo senso Tiphéret è il punto da cui non si può errare, proprio perché, in realtà, è il punto che ci apre la strada e ci conduce verso il nostro vero obbiettivo, che è Da’at: la Conoscenza unificante, obbiettivo che forse non raggiungeremo mai (almeno in vita).
L’iniziato che si trova su Tiphéret, si trova ancora nel mondo dualistico della creazione (bianco/nero; male/bene; etc.), ad un livello di consapevolezza spirituale, però, che gli consente il giusto distacco dalle contrapposte forze che animano la creazione, manifestando, quindi, un perfetto equilibrio spirituale.
Ma non è ancora giunto alla meta!
La sua meta, infatti, è Da’at, che più che un punto vero e proprio (infatti, non è una vera sephirah), è un ulteriore innalzamento del suo livello di consapevolezza, tale che gli consente di “spiare” nel mondo della “vera luce”, nel primo mondo: quello superiore, il mondo dove dal dualismo si passa all’unità, comprendendo o, per meglio dire, intuendo l’esistenza e la natura delle ultime tre sephiroth.
Forse questo spiega perché Da’at è una sephirah/non sephirah che partecipa (ma soltanto ai bordi) del mondo superiore.
Ed, infatti, Da’at viene sempre disegnata, nelle rappresentazioni dell’Albero cabalistico della Vita, in modo tratteggiato, invisibile, a suggerire, forse, che non è un punto saldo cui ci possiamo aggrappare, che possiamo ottenere e conquistare definitivamente, ma un qualcosa che possiamo soltanto raggiungere, anzi sfiorare, temporaneamente ed episodicamente (forse nei sogni o nelle visioni ?).
In questo senso Da’at è il luogo (se consentite il termine) che raggiungono in maniera stabile e definitiva solo i “Grandi Iniziati” (Budda, Rama, Mosè, Gesù, etc.), coloro i quali, anche in vita, sono riusciti a entrare (e restare), anche se solo in periferia, nel mondo superiore della Vera Luce.
Michele Barresi 2008
Comunicazione dell’autore (Michele Barresi) da un lavoro in corso di stampa per i tipi della Tipheret, soggetta alle leggi del Copyright.