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venerdì 21 ottobre 2011

La Morte - (parte II di V)

Comunicazione dell’autore (Michele Barresi) da un lavoro in corso di stampa per i tipi della Tipheret, soggetta alle leggi del Copyright.

Le meditazioni umane riguardo il fenomeno della morte costituiscono storicamente uno dei fondamenti nello sviluppo delle religioni organizzate.
Anche se le interpretazioni e i modi di definire / analizzare la morte variano diametralmente da cultura a cultura, la credenza in una vita dopo la morte - un aldilà - è assai diffusa e molto antica.
Per la maggioranza delle religioni di matrice cristiana, si crede che il Paradiso sia un luogo o uno stato trascendentale in cui l'anima del defunto, unita al corpo alla fine dei tempi, trascorrerà l'eternità in continua contemplazione di Dio.
L'inferno, il limbo e il purgatorio costituiscono invece i luoghi a cui sono condannate le anime non pure, anche se chiese e teologi non sono concordi sull'esistenza e su cosa rappresentino questi luoghi.
Presso l'Induismo, il Sikhismo ed altre religioni orientali si crede nella reincarnazione; secondo questa filosofia, la morte rappresenta un passaggio naturale (tanto quanto la nascita) tramite il quale l'anima abbandona un involucro ormai vecchio per abitarne uno nuovo (il corpo fisico), fino all'estinzione del karma ed alla conseguente liberazione definitiva.
Per questo motivo l'idea della morte viene affrontata con minor struggimento interiore.

Molti antropologi ritengono che le sepolture degli uomini di Neanderthal in tombe scavate con cura e adorne di fiori siano la testimonianza di una primordiale fede in una sorta di aldilà.
Alcuni considerano che il rispetto per i defunti e per la morte (più o meno allegorizzata) sia istintivo all'uomo.
Presso i Celti nasce così il culto degli avi, ed il grande Avo diverrà il Dio della colonia.
I defunti vengono venerati come dèi.
La morte era vista come un passaggio da uno stato finito all'immortalità divina.




Su l'argomento "Morte" i popoli antichi avevano un concetto abbastanza diverso da quello delle popolazioni dette civili odierne, essi l’accettavano molto più facilmente o lo subivano come un fatto inesorabile, doloroso, della vita, ma quasi tutti avevano delle credenze religiose che li aiutavano ad accettare quest’avvenimento; essi credevano che i morti andassero in un qualche luogo ben preciso, che variava a seconda del tipo di filosofia religiosa in cui essi aderivano.
Anche i moderni religiosi, quelli credenti fermamente nell’aldilà (luogo ove essi pensano si rechino le anime dei morti), riescono a superare più facilmente le sensazioni di angoscia che essa tende a produrre nell’animo umano.

Tutte o quasi le religioni del mondo, da quelle antiche a quelle moderne, hanno sempre in un modo o nell’altro affermato che la vita continua dopo la morte; sopra tutto le religioni cristiane abbondano di particolari su questo problema, identificando diversi luoghi dove debbano recarsi le “anime” dei morti (paradiso, purgatorio, inferno, limbo), fino alla resurrezione della carne (secondo Concilio di Costantinopoli, 553 d.C.)

In quel Concilio non si resero conto che comunque essi chiamino questo “ritorno in corpo” da parte di quell’essere, sempre e solo di riaggregazione o di "reincarnazione" si tratta; che essa si incarni una prima volta e dopo riprenda un corpo o si riaggreghi ad un altro corpo, subito o dopo miliardi di anni, la sostanza non cambia; tra l’altro la parola: Reincarnazione e Resurrezione sono sinonimi, non solo nella parola ma anche nella sostanza, cambia solo il luogo ove si ricompare.


La sacralità della morte

Nella cultura occidentale, il corpo del defunto viene in genere deposto in una bara.
Nella quasi totalità delle culture, viene celebrata una cerimonia commemorativa detta "funerale", durante o poco dopo la quale la bara è inumata in una tomba (che può essere un loculo in un edificio cimiteriale o più tradizionalmente una fossa scavata nel terreno).
La salma può anche essere cremata, in questo caso presso taluni popoli se ne conservano le ceneri, mentre presso altri si disperdono in corsi d'acqua o nel mare.
Le diverse culture hanno riti e usanze differenti per rendere ossequio ai loro defunti: ad esempio, presso gli antichi persiani, per i quali sia la terra che il fuoco erano sacri, i cadaveri non venivano né seppelliti né bruciati per non contaminare i due elementi, ma venivano lasciati a decomporsi su piattaforme sopraelevate; uso vivo anche presso alcune tribù di indiani americani.
Le tombe si trovano generalmente accorpate in terreni civici destinati a tale scopo, detti cimiteri, ove il necroforo si occupa poi materialmente della sepoltura e delle altre operazioni tecniche e pratiche riguardanti le salme.
I cimiteri sono generalmente considerati luoghi sacri.



Allegoria della morte

La morte è una figura mitologica molto popolare, presente in forma più o meno differente in moltissime culture umane fin dall'inizio della tradizione orale.
L'iconografia occidentale rappresenta la morte in genere come un sinistro mietitore (di presunto sesso femminile): uno scheletro vestito di un saio nero, che impugna una falce.
Come tale, è ritratta anche in una carta dei tarocchi ed appare sovente in letteratura e nelle arti figurative.
Milton, nel suo "Paradiso Perduto" la immagina come figlia di Satana e della Colpa.

Significato della parola morte

Molti si disperano e si creano molti problemi personali, non accettando l’avvenimento si lasciano prendere dalla disperazione.
Pochi comunque riescono a comprenderla bene e quindi a “viverla come una nuova fase della vita”.
A parte la fede religiosa, se superiamo le sensazioni che questa parola evoca e le analizziamo da un punto di vista non emotivo per mezzo della ragione, ecco che la sensazione di malessere viene ad essere cancellata e ad suo posto nasce una nuova e bellissima visione sulla Vita e sulla Morte stessa.

Questa parola ha comunque e da sempre evocato nei suoi uditori, rispetto e timore nella stragrande maggioranza degli esseri umani, ma sopratutto per gli uomini occidentali dell’ultimo secolo, essa genera facilmente sensazioni di paura, angoscia, terrore.

Vi proponiamo quindi un’analisi sulla parola “Morte”; vediamo di esorcizzarla anche con un’analisi semantica della parola stessa.
Morte, dal Dizionario di Italiano, rileviamo questa definizione: “Cessazione della vita, di uomo, animale, pianta”; etimo latino: “mors, mortis”.
Questa definizione è estremamente incompleta, in quanto non tiene conto degli etimi più antichi e delle radici primarie che hanno prodotto nel tempo questo suono, parola, segno.

Prima di iniziare l’analisi delle definizioni che i nostri antichi progenitori davano a questa parola, dobbiamo ricordare che le antiche lingue Akkadico, Eblaita, Fenicio, Egizio, Ebraico, Arabo, hanno delle caratteristiche inesistenti nelle lingue moderne.
Le lettere dei loro alfabeti sono segni, glifi, simboli, che indicano ognuna delle idee, concetti, ben precisi.
Il compositore delle parole, le formava tenendo conto del significato delle singole lettere.

Ecco come mai dopo migliaia di anni, possiamo ricostruire, attraverso l’analisi delle radici e delle singole lettere formanti la parola da analizzare, il senso nascosto che l’autore di quella grafia, suono, parola, aveva in mente mentre scriveva.
L’etimo Fenicio, è una radice formata dalle lettere MEM, VAU, TAU (suono Mot o Mut); queste 3 lettere significano appunto: “Passaggio”, essa caratterizza l’idea del passaggio in un altro tipo di Vita.
La lettera MEM ha la funzione del Nutrire, dell’Alimentare per tenere in vita, del far Crescere; essa è una lettera che contiene l’idea delle acque matriciali; è il simbolo che descrive l’Energia materializzata; infatti, anche nel suo simbolo grafico vediamo le onde, le acque.
La lettera VAU ha la funzione dell’Agganciare, Collegare, Saldare due lati.
Essa descrive la possibilità del passaggio da una natura all’altra.
É il segno convertibile universale di ogni manifestazione Intellettuale.
La sua definizione è dunque: un segno che indica il “Passaggio” ed il “Gancio” che collega 2 parti.
La lettera TAU ha la funzione del Tribolare, Soffrire, se messa all’inizio o dentro una parola o radice; ma siccome è messa alla fine della radice essa assume l’idea della sofferenza del limite, per una resurrezione o nuova Vita, nella Vita Universale; la sua definizione è dunque: “Soffrire per Risorgere”.

Nell’antico Egitto il Dio perfetto si chiamava ATOM-RA; alla radice TOM si aggiungeva come prefisso l’Alef, il quale indica il raggiungimento della perfezione attraverso nuovi punti di vista che abbraccino l’idea dell’Unione dei “contrari”, degli “opposti”, il superamento delle contraddizioni interiori.
La parola UOMO, RAMOT in Egizio, si scrive con la radice formata dalle lettere: REISC+MEM+TAU; questa parola è la permutazione esatta (l’anagramma), della precedente: AtomRa; essa diviene RaMot, in quanto gli Egizi ritenevano l’uomo la manifestazione tangibile, ancora imperfetta del Divino; l’Uomo/Dio in fase di evoluzione per incarnare la Perfezione.
Ricordiamo che la radice MOT ha generato anche la parola MOTa o Limo ovvero un miscuglio terracqueo carico di fattori vitali e generatori di Vita, come lo è il cosMOs (radice anche della parola Osmosi) primordiale generatore di ogni cosa attraverso il movimento generato dalle sue proprietà elettro diamagnetiche informate; infatti noi chiamiamo MOTore, ciò che genera energia o movimento.
La MOrTe è il “MOTore” che ci trasferisce in altri luoghi.

Ora possiamo comprendere meglio che la definizione data dai nostri dizionari è molto imprecisa.
Essa non significa: cessazione della Vita, al contrario essa indica: un Trapasso in... cioè la Continuazione della Vita, attraverso un “passaggio sofferto” il quale fa entrare in una nuova Vita, diversa nella forma o dimensione.

Morire dunque significa: passare in un altro luogo e forma; non significa assolutamente il ritorno al non Essere, alla non Esistenza, ma una Continuazione dell’Esistenza in un altro tipo di organismo in un’altra dimensione od altro Universo, o addirittura il ritorno al Nulla che contiene in se il Tutto: il rifondersi in Dio!

Possiamo affermare che la morte quindi non è il “contrario” della Vita anzi è parte integrante e continuativa della vita stessa.
Concettualmente, il contrario della Vita è la non - Vita, cioè quello che Vita non è, non è mai stata e mai sarà o non può Essere.
La Morte è invece sempre stata della Vita, la sua necessaria integrazione, perché la Vita stessa potesse esprimersi in una pienezza di variabilità e molteplicità di forme, quali noi oggi conosciamo in parte ed in futuro conosceremo sempre di più.

La morte intesa come “fine della vita” è sicuramente divenuto un tabù, uno schema mentale errato, una paura irreale ma esistente per colui che non conosce ed ignora cos’è la morte.

La Vita al contrario è Eterna, ma in continua Trasformazione, secondo il principio che “nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”.
Negli uomini la paura della morte spinge a studiare con frenesia i più piccoli particolari della materia, perché essa riveli il suo messaggio genetico, in modo da poter allontanare quella scadenza.
Non ci accorgiamo che la stessa “scienza moderna” dopo aver scoperto le particelle subatomiche, ne ha scoperto altre ancora, comprendendo che queste ultime sono sempre meno costituite da “materia”, poiché lasciano il posto a costituenti Informatico Energetici, i quali oltrepassano la componente materiale, per arrivare a considerare solamente Il Campo Informazionale-Tachionico e quindi l’Energia Fondamentale Eterica ed Informata che si rivela solo per mezzo dei suoi stati contrapposti (E+ ed E-) che di fatto manifestano il TUTTO.


Citazioni

La morte non è altro che un passaggio da un tipo di vita ad un'altro
Un ricco e sapiente volume edito nel 1961 da Joseph Head e S.L. Cranston elenca innumerevoli citazioni di grandi personalità sul tema della reincarnazione.
Significative quelle incluse nella sua prefazione, tra cui “Se l’immortalità non fosse una cosa vera, poco importerebbe della verità di tutto il resto”, nonché un discorso significativo e di chiara logica che ritengo opportuno riportare integralmente:
“Vivere è considerato all’unanimità un viaggio lungo una strada impervia. E una strada impervia che porta in nessun posto, vale la pena di un viaggio? Un mero vivere, che fatica senza senso; ed un mero vivere doloroso, che assurdo! Allora non esiste nulla in cui sperare, nulla da attendere, e nulla da fare, salvo che aspettare il proprio turno di salire il patibolo e dire addio a questo colossale sbaglio, il mondo pieno di rumore per nulla... Pensateci, pensateci anche un solo momento. Proclamate agli uomini che la “Morte” è la sola immortale, e non sarà facile consolarli dello spreco di tanto coraggio, di tanta sopportazione, di tanta fede, di tanto affetto, di tanta dolcezza gettati nel vuoto, se rievocano i cuori fedeli, i volti amici, le intelligenze vigorose per sempre scomparsi... Al di là di tutto questo incombe forse quel pensiero che la morte sembra proclamare, il pensiero della frustrazione e di una fondamentale inanità nel cuore delle cose, la radice stessa della disperazione del pessimista.
Rassicurateli invece che non è così, e la scena cambia. L’orizzonte si schiarisce, la porta si schiude a possibilità insospettate, le cose cominciano ad includersi in un disegno comprensibile...
Se voi non trovate qui, fra uomini che pensano, anche se riluttanti ad ammettere il convincimento che nasce dal loro meditare... il perno della situazione umana, la domanda tesa a quella risposta intorno a cui tutto volge, non so dove andare a cercare...
Immortalità è un termine che garantisce la stabilità, il permanere di quella qualità unica e preziosa che noi scopriamo nell’anima, qualità che, una volta perduta, toglie ogni valore ad ogni cosa al mondo.”

All’autore, W. Macneile Dixon, nel corso della conferenza in cui nel lontano 1936 aveva tenuto il discorso succitato, fu chiesto: “Quale tipo di immortalità potremmo concepire?”.
La risposta fu: “Fra tutte le dottrine di una vita futura, la palingenesi o rinascita, dalla quale scaturisce l’idea di preesistenza, è di gran lunga la più antica e la più diffusa, l’unico sistema cui la filosofia può dare ragionevolmente ascolto.”

Platonici, e soprattutto neoplatonici, si sforzarono di spiegare le differenze fra varie unicità, arrivando a fondere i tre termini eredità, ambiente ed anima, atta ad esprimere ogni cosa.
Qui la filosofia della preesistenza, coinvolgente ulteriori successive rinascite della medesima individualità essenziale, si fa particolarmente stimolante.

Soprattutto a beneficio degli scettici, vorremmo ora citare alcuni pensieri trasmessi da Sant’Agostino, probabilmente il più celebre fra i cosiddetti Dottori della Chiesa: «Il messaggio di Platone, il più puro, il più luminoso di tutta la filosofia, ha finalmente dissipato le tenebre dell’errore, ed ora traspare soprattutto attraverso Plotino, platonico tanto simile al suo maestro da far credere che abbiano vissuto l’uno insieme all’altro, o meglio, dato che così lungo periodo di tempo li separa, che Platone sia rinato nella persona di Plotino».

Da: Contra Academicos. «Dimmi, Signore... dimmi se la mia infanzia successe ad altra mia età morta prima di essa. Forse era quella l’età che io trascorsi nel grembo di mia madre... e prima ancora di quella vita, o Dio, mia gioia, fui io, forse, in qualche luogo, od in qualche corpo? Non ho nessuno che possa narrarmi di questo, né padre, né madre, né esperienza d'altri, né la mia memoria».

Da: Le confessioni: da un’epistola indirizzata da Sant’Agostino a Demetriade, su cui vale davvero la pena di riflettere a fondo.
Vi si sostiene: «Fin dai tempi antichi, la dottrina della trasmigrazione è oggetto di insegnamenti segreti ad esigui gruppi di persone, in quanto Verità tradizionale da non divulgarsi».

L'«amicizia» in questo contesto va intesa sia come una forma di charitas sia come la forza generale di attrazione, molto discussa da Empedocle e analizzata da Aristotele (Met. 985a20-30), che, presso Pico, si traduce in quell'energia che sprona l'anima verso l'unione con Dio. L'anima, in cui è innata una certa predisposizione per l'amicizia (I Sam. 18, 1), tende sempre verso l'alto, verso il sommo bene.
Pico spiega questa «pienezza di vita» che si chiama la morte molto più chiaramente nel suo “De ente et uno” (cap. 5). Dopo aver citato la Bibbia (I Cor. 15, 31; Rom. 7, 24) e Seneca (Ep. 102 e 120), Pico descrive la nostra vita terrena come una specie di morte nel senso che l'anima è semplicemente una vivificazione temporanea del corpo; non è uno stato esistenziale in cui si può definire l'essenza dell'anima.
La «vita» dell'anima è invece lo stato pieno dell'essere e, siccome lo studio della filosofia è appunto la contemplazione dell'essere, esso costituisce l'oggetto principale dello studio del filosofo.

Considerazioni

L’approfondimento della ricerca nel campo della realtà invisibile, avviato proprio in occidente all’inizio del secolo scorso, ha implicato un ritorno alle origini dell’era cristiana, con l’adozione di definizioni più sofisticate, accurate e comprensibili delle “tre” diverse nature, sia universali, o cosmiche, che umane:
Corpo - Corpo fisico -Materia sensibile
Anima - Corpo astrale -Mondo astrale
Spirito - Corpo etereo -Mondo mentale-spirituale-etereo
Proprio perché la perdita del corpo fisico non implica cambiamento alcuno nella nostra natura; per cui fra i trapassati esiste altrettanta varietà di intelligenze e di carattere che fra i viventi.

Chiaro quindi che la morte non rende tutti uguali, come i poeti romantici amano sostenere, e si premurano di farci credere.
Dopo la morte non si vive una vita strana, nuova, ma una vita che, sebbene in condizioni diverse, non è che la naturale continuazione di quella condotta precedentemente sul piano fisico: la vita dello spirito.
Nessun trauma, quindi, nessuno davvero.
All’inizio, specie in occidente, si stenta a credere d’essere morti, dal momento che si può vedere, udire, addirittura quasi toccare, e soprattutto pensare, esattamente come prima.
Ma ben presto si comincia a prendere coscienza del nuovo stato, e ad afferrare, anche grazie alle delucidazioni offerteci dai vari assistenti che ci circondano premurosi, le differenze esistenziali tra passata vita fisica e presente vita “astrale”.
Preghiere, cerimonie rituali qualora “ben” recitate ed officiate, hanno il potere di creare vibrazioni benefiche che, operando sul corpo astrale, ne accelerano la disgregazione, spingendo lo spirito verso la propria elevazione.
A questo riguardo l’Occidente deve molto a quegli ordini religiosi che, giorno e notte, nel silenzio dei loro monasteri, si sacrificano pregando con devota convinzione per le anime dei fedeli deceduti.

La morte non è soltanto l'esperienza della propria unicità, ma è anche l'esperienza del legame, perché nella morte si muore sempre per qualcuno.
Sostanzialmente nella morte si perde il mondo, e chi ama qualcuno che muore, perde colui che muore.
E quando muore qualcuno, con quella persona muore tutto quello che io avrei potuto vivere con lei, fare con lei.
Quindi la morte dell'altro porta con sé definitivamente a morte tutte le possibilità che io avrei potuto vivere con lui.
Quindi nella morte c'è l'esperienza dell'autenticità, ma anche l'esperienza profonda della relazione.
Ecco perché, nelle società antiche, la morte era sentita come trauma della comunità.
Quindi bisogna tenere insieme tutte e due gli aspetti: gli aspetti dell’insostituibilità, unicità nel morire, ma anche gli aspetti profondi della razionalità; questo è un tema importante perché spesso nella sociologia contemporanea, nella vita contemporanea, si parla di solitudine nella morte.
La paura della morte per molti versi è inevitabile, nel senso che il vivente, in quanto potenza ad esistere - perché questo vuol dire vita -, è appunto colui che rifiuta la morte.
La vita rifiuta la morte.
Cioè l'uomo ha compreso che la morte matura dentro di noi.
La vita cresce, ma alla fine si dissolve.
Quindi c'è questa inevitabilità della morte. Però il fatto che la morte sia inevitabile, non vuol dire che, per ciò stesso, diventa accettabile.
Per tutta la vita c'è questo combattimento tra la vita e la morte.
La morte, che non è quella che viene alla fine, ma le molte morti che attraversano la vita: i desideri mancati, gli amori falliti.
A fronte di tutto questo, l'uomo ha risorse, può rilanciarsi.
Nella vita, abbiamo la potenza di molte resurrezioni.
Quando questa capacità di risorgere finisce la morte che verrà è naturale.
Il problema non è di allontanare la morte che viene alla fine, ma di realizzare al meglio la propria vita.
Visto che la morte è naturale, proprio perché dovrò morire, devo vivere con pienezza questa vita, cercando di valorizzarla al massimo.
Per l'iniziato che ha occhi per vedere non esiste una distinzione tra Aldilà e Aldiquà.
L'uomo è costituito da tre essenze fondamentali: il corpo fisico, l'anima e lo spirito.
L'uomo non diventa uno "spirito" dopo la morte, l'uomo è uno spirito già ora, in questo momento, sempre.
Lo spirito dell'uomo che in altre occasioni ho chiamato "spirito individuale" è Dio che lo ha dato ad un animale evoluto per farlo diventare Uomo.
L'uomo è uomo in quanto Spirito, in quanto partecipe dello Spirito Universale, dello Spirito che è Dio.
Una vita "degna di essere vissuta" sarà quella di chi la avrà vissuta nel tentativo di accrescere la conoscenza del suo "spirito individuale".
Una vita "degna di essere vissuta" sarà arra di una "morte degna" in quanto l'uomo avrà svolto il compito a lui affidato da Dio nel suo grande progetto della "Creazione".
Corpo, anima e spirito i tre componenti dell’uomo.
Corpo = materia e dopo la morte si dissolverà nei suoi componenti chimici e biochimici per rientrare nell’eterno ciclo che si sintetizza nel detto “nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma”.
Anima = energia ed è quell’energia che consente al corpo di formarsi, di crescere, di vivere. Come per la materia anche per l’energia esiste la legge di conservazione dell'energia è la più importante delle leggi di conservazione note in fisica. Nella sua forma più intuitiva questa legge afferma che, sebbene possa essere trasformata e convertita da una forma all'altra, la quantità totale di energia di un sistema isolato è una costante, ovvero il suo valore si mantiene immutato al passare del tempo, quindi anche questa componente dell’uomo rientrerà nell’eterno ciclo della conservazione.
Il corpo si dissolverà, l’anima/energia, essendo anche la massa una forma di energia (la famosa formula E = mc2) ed in caso di conversioni massa/energia rimane invariata nel bilancio energetico.
Lo Spirito, parte di Dio che si è incarnato come “spirito individuale” nell’uomo per la realizzazione del “programma divino di rigenerazione degli spiriti ribelli”, libero dal legame con il corpo andrà a prendere il posto che gli competerà, a seconda del grado di redenzione raggiunto nella Luce, per tornare a reincarnarsi sino alla sua “rigenerazione totale”.
Cosa resterà di me, di voi, di tutti?
Se saremo morti per qualcuno, se ci saremo lasciati in eredità, se qualcuno ci accoglierà in sé, quasi per continuare il nostro compito, saremo morti bene e per morire bene bisogna vivere bene.
L'unico modo attraverso cui il morto, come individuo, può continuare a vivere è nella memoria di chi sopravvive.

Comunicazione dell’autore (Michele Barresi) da un lavoro in corso di stampa per i tipi della Tipheret, soggetta alle leggi del Copyright.