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lunedì 1 agosto 2011

Comprendere per credere o credere per comprendere

Comunicazione dell’autore (Michele Barresi) da un lavoro in corso di stampa per i tipi della Tipheret, soggetta alle leggi del Copyright.


Comprendere per credere o credere per comprendere

Qualche tempo fa ho ricevuto la seguente e-mail: Ho finito di leggere il Proslogion di Anselmo D'Aosta. Io mi chiedo in relazione alla sua affermazione " ... non chiedo di comprendere per credere, ma credo per comprendere. Anzi, proprio questo io credo: che se non credessi, non comprenderei “. .
Da massoni come possiamo collocarci rispetto a questa posizione ? un TFA Fr. S. C.
Da questa domanda, ne è scaturita una bella discussione via e-mail tra i M.M. della Loggia.
Un “giovane” apprendista (S.P.), leggendo tutti gli interventi, ha chiesto di essere aiutato per dirimere i propri dubbi sorti da un’affermazione di fronte alla quale era perplesso.
Cercherò di aiutarlo, consapevole che in fondo aiuterò, più che altro, me stesso.
L'accumulo della nostra conoscenza si basa su 2 metodi di ricerca: quello consapevole e diretto attraverso l'uso della nostra Mente e quello inconsapevole ed indiretto attraverso l'accettazione della conoscenza di Menti altrui.
Il primo metodo porta alla Sapienza, il secondo alla Credenza.
Non dobbiamo confondere il credere alla possibilità di qualcosa che è Speranza, è atto di Fiducia (Volontà di comprendere la possibilità), con il credere alla realtà di qualcosa che è Dipendenza, è Illusione o Paura. (Volontà di credere la realtà).
La Sapienza si raggiunge attraverso l'utilizzo della Mente, e quindi della Volontà di comprendere.
La Credenza si raggiunge attraverso l'accettazione della Mente altrui, e quindi attraverso la Volontà di credere.
Ma entrambi i tipi di Volontà possono essere definiti Vera Volontà?
Vediamo meglio.
Volere significa "desiderare (emotivamente) e comandare (mentalmente) la manifestazione di qualcosa".
Quanto viene manifestato attraverso la Volontà è compreso coscientemente dalla forma fisica: è esperienza, è Sapere.
Quando manca una Vera Volontà, si è in presenza di Dipendenza.
Il problema non sta nell'accettazione di un pensiero altrui o nell'essere d'accordo con lo stesso: tali atti presuppongono il filtro della propria mente su tali pensieri provenienti dall'esterno.
Ciò che limita la manifestazione della propria Volontà è invece l'accettazione passiva dell'altrui pensiero come proprio pensiero: un'assenza cioè di filtro mentale ed una assimilazione passiva del pensiero proveniente dall'esterno.
Questo è il Credere.
Credere significa quindi "dipendere emotivamente e mentalmente da un pensiero esterno". Ed il Credere, proprio per l'assenza della mente nell'atto di incorporazione del pensiero, non è un atto dello Spirito bensì un atto dell'Ego. Quanto viene manifestato dal Dipendere è non compreso dalla forma fisica: è ignoranza, è credere di Credere.
Il pensiero incorporato attraverso l'atto di Sapere è pensiero spirituale quindi pensiero per sua natura puramente magnetico, puro, privo di attaccamenti; in una parola “divino”.
Un pensiero quindi che non può creare per sua natura dipendenza dall'esterno in quanto pensiero proprio, indipendente, creato dalla propria Essenza spirituale individualizzata.
Il pensiero incorporato attraverso l'atto di Credere è pensiero egoico umano e quindi per sua natura distorto, di natura radioattiva, elettrica, elettromagnetica o magnetica distorta.
Pensiero, questo, che crea per sua natura dipendenza dall'esterno in quanto pensiero non proprio, altrui (di altri individui singoli o di un numero elevato di persone, come ad esempio un Eggregoro).
Un pensiero saputo è un pensiero spirituale che si manifesta sia a livello eterico (forma-pensiero o platonicamente Idea-pensiero) sia a livello fisico (pensiero).
Un pensiero creduto è un pensiero dell'Ego umano che si manifesta solo a livello eterico (forma-pensiero) ed a livello fisico (pensiero).
Per creare una realtà vera è necessario seguire il pensiero della propria Essenza divina, della propria anima, e quindi il pensiero saputo attraverso l'atto di Volontà.
Usando quindi la Mente per filtrare il pensiero proveniente dall'esterno, per evitare di incorporare un pensiero creduto.
La Vera Volontà spirituale è Volontà di comprendere, è Volontà cosciente.
La Dipendenza è anche essa Volontà di credere, ma è Volontà incosciente non reale, in quanto dipendente dal pensiero altrui: uno pseudo-intento creatore della propria realtà, ma un vero pensiero distruttore della propria individualità.
La nostra “scuola”, che ha cuore l'evoluzione dell'individuo, non insegna quindi pensieri “creduti”, ma supporta la comprensione individuale dei propri pensieri “saputi”.
Supporta cioè un Vero Apprendimento basato sull'incorporazione del Vero Pensiero.
Se Dio è Verità, come difatti è, non si può pensare che esistano verità diverse che si contraddicono, in quanto una negherebbe l’altra, mentre il concetto di Verità è di per sé unico e indivisibile.
Sempre più si assiste invece a tante diverse interpretazioni di ciò che si crede sia Dio, basate su un errore di fondo: ridurre Dio a dimensione umana anziché fare tutto ciò che è nelle proprie possibilità intellettive per ascendere a Lui, così da ampliare il campo del proprio “credere” a ciò che sta oltre la capacità razionale dell’uomo.
Questo è il giusto ambito nel quale collocare la Fede, che così diventa l’anelito dell’individuo verso ciò che è superiore al suo limite.
Per logica tutto ciò che rientra nella sfera del conosciuto (o comunque del “conoscibile”), non può e non deve essere oggetto di fede.
Disponendo, infatti, degli strumenti intellettivi adatti per sondare la realtà concreta, l’individuo spirituale è chiamato ad usufruirne, facendo il possibile per sostituire un vago “credere” con la consapevolezza obiettiva di ciò che può umanamente capire... a condizione ovviamente che voglia elevare la sua coscienza spirituale.
Parlando in termini umani di concetti quali l’Eternità o l’onnipotenza di Dio, che per loro definizione vanno ben oltre i limiti della razionalità umana, molte religioni danno luogo ad una contraddizione imbarazzante (quantomeno, sotto un profilo razionale).
Infatti, non solo viene chiesto ai fedeli di credere in ciò che non possono comprendere, ma poi viene loro descritta con parametri razionali quella realtà che è stata dogmaticamente eletta a mistero della fede proprio perché sta oltre la ragione, e che non potrebbe essere pertanto descritta in alcun modo.
Se l’Eternità è una dimensione (non può essere una dimensione) oltre lo spazio e il tempo, con quali parametri si può descrivere il Paradiso, una vicenda che accadrà alla fine dei tempi, o ciò che esisteva prima del tempo ?
Il cervello umano, fatto di carne, è vincolato alla “gabbia” dello spazio-tempo nell’elaborare concetti o nel definire qualsiasi cosa, per cui ogni descrizione di ciò che “sta oltre” si basa necessariamente su delle coordinate esterne al sistema che si vuole descrivere. .A questo punto, anche a costo di annoiare chi legge, mi sembra opportuno parlare della “Critica restauratrice” di Paul Ricoeur. (P. Ricoeur, Finitude et culpabilité, II, La symbolique du mal, Paris).
Paul Ricoeur ha dedicato la sua attenzione soprattutto al linguaggio della poesia, al mito e alla religione per evidenziare i simboli che possono aiutare a recuperare il senso ontologico e trascendente dell’esistenza umana.
In questa lettura egli afferma che l’ermeneutica (= esegesi, interpretazione dei testi sacri) è azione critica, ma con lo scopo di essere non distruttiva, bensì restauratrice. Essa interpreta e decodifica per poter nuovamente intendere, per un recupero del sacro.
Non esiste mai un linguaggio simbolico senza ermeneutica; là dove un uomo sogna e delira, un altro uomo si fa avanti per interpretare; quello che era già discorso, anche se incoerente, rientra nel discorso coerente per mezzo dell’ermeneutica; in questo senso l’ermeneutica dei moderni prolunga le interpretazioni spontanee dei simboli, che non sono mai venute meno.
Quello che invece è caratteristico nell’ermeneutica moderna è che essa rimane sulla linea del pensiero critico. La sua funzione critica non la distoglie dalla sua funzione di appropriazione: direi anzi che la rende piú autentica e piú perfetta.
La dissoluzione del mito-spiegazione è il cammino che deve essere necessariamente percorso per giungere alla restaurazione del mito-simbolo: il tempo della restaurazione è il tempo della critica.
Noi Massoni, che da ogni punto di vista siamo i figli della critica, cerchiamo di superare la critica per mezzo della critica, cioè con una critica non piú riduttrice, ma restauratrice.
Era questa la visione che animava Schelling, Schleiermacher, Dilthey, e oggi, in senso diverso, Leenhardt, van der Leeuw, Eliade, Jung, Bultmann; abbiamo oggi una coscienza piú acuta dell’immenso impegno rappresentato da quest’ermeneutica: da un lato essa costituisce la punta avanzata della critica, presa di coscienza del mito in quanto tale; e questa presa di coscienza accelera a sua volta il movimento di
demitificazione che è il corrispettivo di un’individuazione sempre piú rigorosa di ciò che è storia secondo il metodo storico.
Demitificazione che è conquista irreversibile della veracità, dell’onestà intellettuale, dell’oggettività.
D’altra parte, l'ermeneutica moderna si propone di rivitalizzare la filosofia a contatto con i simboli fondamentali della coscienza.
È insomma interpretando che possiamo di nuovo intendere; è quindi nell’ermeneutica che si scioglie il dono del significato attraverso il simbolo e si svolge l’impresa intelligibile della decodificazione.
Possiamo enunciarlo rudemente: “Bisogna comprendere per credere, ma bisogna credere per comprendere”.
Questo non è un circolo vizioso, esso è anzi virtuoso e stimolante.
Bisogna credere per comprendere: l’interprete non si accosterà mai, infatti, a ciò che dice il suo testo se non vive nell’aura del significato interrogato.
L’ermeneutica non domanda un’affinità da vita a vita, ma un’affinità del pensiero con ciò a cui mira la vita, insomma del pensiero con la cosa di cui si tratta.
È in questo senso che bisogna credere per comprendere. E, tuttavia, solo comprendendo possiamo credere, alla fine possiamo credere solo interpretando.
Questo è il circolo: l'ermeneutica procede dalla comprensione di ciò che ha il compito di comprendere interpretando.

Comunicazione dell’autore (Michele Barresi) da un lavoro in corso di stampa per i tipi della Tipheret, soggetta alle leggi del Copyright.